“Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia”
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“Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia”
Giovanni Domenico Campanella nacque a Stilo nel rione <<Borgo>> il 5 settembre 1668 da Geronimo e da Caterina Martello. A causa delle ristrettezze economiche fu costretto, fin da giovanissimo, a mettersi a servizio di un ricco <<massaro>>, che gli affidò la cura del suo gregge. La leggenda narra che un giorno, spinto dal gregge, sul punto più alto del monte consolino, trovò un erba rigogliosa e molto saporita e se ne cibò. Era l’erba della Sapienza. Da quel momento divenne istruito come mai nessuno prima.
Animato da un ardentissima sete di sapere, appena adolescente si fece frate ed entrò nell’ordine domenicano col nome di frà Tommaso, dedicandosi quasi interamente agli studi filosofici. Per queste sue tendenze filosofiche, il giovane frate fu presto sospettato e accusato di eresia e subì, per questo, diversi processi. Il primo processo ecclesiastico-domenicano lo colse a Napoli e la sentenza che ne scaturì, nel 1592, lo invitava ad abbandonare le dottrine telesiane e Napoli e far ritorno alla sua provincia. Campanella invece si recò a Roma, poi a Firenze e a Padova. Qui subì altri processi ed infine fu tradotto a Roma dove venne fatto prigioniero per alcuni mesi. Qui, probabilmente, conobbe Giordano Bruno.
Dopo alcuni mesi trascorsi a Napoli, rientrò in patria e, rinchiusosi nel convento domenicano, si dette a vita riparatissima, mentre, tacitamente ordiva le fila della congiura contro la Spagna. Imprudenze, defezioni, denunzie e tradimenti di congiurati portarono, ben resto, alla scoperta della congiura, che fu repentinamente repressa dall’autorità vicereale ed ecclesiastica.
Arrestato insieme a tutti i suoi compagni ed amici, Campanella incominciò a subire i primi sommari processi che, iniziati in Calabria, sboccarono, poi, in un severo processo generale, per tentata ribellione ed eresia che si svolse a Napoli.
Fingendosi pazzo, Campanella, riuscì a sfuggire alla pena di morte e dopo, innumerevoli e crudeli tormenti, nel 1601 fu condannato al carcere perpetuo. Rimase prigioniero del governo spagnolo per ben ventisettenni, durante i quali scrisse la maggior parte delle sue opere.
Graziato nel 1626dal viceré, uscì dal carcere napoletano; ma le sue pene non erano ancora finite.
Il papa urbano VIII, lo fece rinchiudere nuovamente in carcere del S. Uffizio, a Roma; accertatosi, però del uso immenso sapere e cultura, non solo gli concesse la libertà, ma per sottrarlo all’ambiente ecclesiastico e per non farlo nuovamente cadere nelle mani della giustizia spagnola, lo aiutò a fuggire in Francia. Le affettuose accoglienze del mondo politico e intellettuale di quella metropoli, gli consentirono di pubblicare e diffondere moltissime tra le sue opere. In Francia, cessò di vivere il 24 maggio 1639.
Tra le opere più importanti ricordiamo l’utopistica “Città del sole”.
Al centro della piazza antistante la chiesa di San Francesco sorge una statua di bronzo a grandezza naturale, poggiata su di una base in granito grezzo scolpito a mano dalla scuola di scalpellini che faceva capo all’artista stilese Mastro Peppino Drago: è la statua di Tommaso Campanella.
E’ opera dello scultore modenese Ernesto Gazzeri; risale al 1923, anno in cui fu pure inaugurata a mani del filosofo Giovanni Gentile. L’opera fu fatta erigere a gloria del filosofo, dallo stilese Luigi Carnovale, protettore e fautore di ogni tipo di arte e lettere, al cui nome rimane intitolato il largo spiazzo, che per la realizzazione della grande scultura in bronzo assommò le offerte e i contributi raccolti nel paese e arrivati da diverse istituzioni.
+39 328 1332150 – info@visitstilo.it
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