Francesco Cozza nasce a Stilo, (RC), nel 1605.
Nel 1622 si trasferisce a Roma e sposa Francesca Fagioli. Nella capitale, il Cozza è ospitato nel Convento dei Padri Minimi di San Francesco di Paola. Fa subito ingresso nello studio del Dominichino e dipinge le prime tre lunette “lungo il fianco della Chiesa di S. Andrea”. In quegli anni, il Cozza lavora per i Frati di S. Andrea delle Fratte. Il periodo che va dal 1641 al 1650 è da considerarsi assai “intenso e capitale per la manifestazione della pittura di Cozza”.
Lo vediamo, infatti, nel 1642, frequentare l’Accademia di San Luca, centro di cultura artistica per eccellenza; nel 1648 è nominato Virtuoso di merito. Ancora, dal 1651 al 1654, è costantemente presente alle Congregazioni dell’Accademia di San Luca: in quel periodo viene eletto Stimatore dei Pittori e, contemporaneamente, istituisce – insieme ad altri pittori accademici – la celebre Scuola di disegno dell’Accademia. Nel 1658, il nipote del Pontefice Innocenzo X, Don Camillo Pamphilj, gli affida l’incarico di affrescare la volta della Stanza del Fuoco del Palazzo di Valmontone. A Valmontone, il Cozza conosce il Preti e G. Dughet, il pittore francese paesaggista ed incisore in rame. Tali amicizie si rivelano basilari per la sua evoluzione artistica. Nel 1660 completa la sua opera maggiore: la pala della Madonna del Riscatto, dipinta per la Chiesa di Santa Francesca Romana. Nel 1661 esegue i ritocchi agli affreschi dell’Allegoria del Fuoco di Valmontone; in quello stesso anno muore la moglie: in sua memoria fa erigere, nella chiesa di S. Agostino, un monumento marmoreo con iscrizione e ritratto da lui stesso eseguito. “Per distrarsi dal dolore”, il Cozza intraprende un viaggio nel settentrione e si aggiorna sulle più importanti decorazioni esistenti nelle città visitate. Nel 1664 diviene Sindaco dell’Accademia di San Luca, poi Deputato per gli infermi nel 1669 e, infine, Deputato alla questua, dal 1671 al 1770. Negli ultimi anni della sua vita sposa la romana Cecilia Bernardi ma, nel 1682, il suo stato di salute – già precario – peggiora fino a portarlo alla morte.